La trappola psicologica delle intolleranze alimentari

Le intolleranze alimentari?

Spesso una trappola psicologica su cui molti speculano!

Ecco come la pensa il professor Michele Carruba, direttore del Centro Studi e Ricerche sull’Obesità dell’Università degli Studi di Milano.

La medicina ufficiale riconosce le intolleranze alimentari?

“Certo. Le vere intolleranze alimentari hanno però una base biochimica e manifestazioni specifiche ed evidenti. Quelle più diffuse sono due. La prima è l’intolleranza al lattosio, lo zucchero del latte, dovuta alla mancanza di un enzima (la lattasi) necessario a digerirlo. Provoca disturbi intestinali e si scopre con il Breath test (test del respiro), uno strumento diagnostico molto preciso che si esegue in ospedale e dà risultati attendibili. È possibile recuperare la tolleranza evitando per qualche tempo il cibo incriminato per poi riassumerlo a piccole dosi crescenti, così da stimolare l’organismo a produrre l’enzima mancante. L’altra intolleranza riconosciuta è al glutine, sostanza presente nel grano, nell’avena, nell’orzo e nella segale. I disturbi sono ancora una volta intestinali. Chi soffre di celiachia, deve eliminare per sempre, grano e derivati dalla propria tavola”.

Oltre ai cibi a base di lattosio e glutine, è da escludere a priori che un determinato alimento possa causare degli effetti sgradevoli nell’organismo?

“No, non va escluso. Esistono altre intolleranze riconosciute dalla scienza ufficiale, ma sono molto rare. Mi riferisco a quelle verso alcuni additivi, come il glutammato di sodio (presente per esempio nel dado da cucina), la tetrazina (il colorante giallo contenuto nelle bibite), il sodio benzoato (conservante antibatterico e antimuffa usato nell’industria alimentare), i solfiti (conservanti antibatterici presenti nelle insalate industriali e in certi tipi di vino rosso). I sintomi vanno dall’orticaria all’asma. Per riconoscerle si usa il test di scatenamento, che viene eseguito in ospedale: si somministra la sostanza sospetta a dosi crescenti da 5 mg a 500 mg (la dose ingeribile in una giornata) allo scopo di verificare le reazioni dell’organismo”.

Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera sostiene che i test per le intolleranze alimentari sono una truffa. È così?

Il punto è che oggi in troppi speculano su un problema sentito, usando le intolleranze e i test non convenzionali per scopi non scientifici. Mi riferisco in particolare alle diete anti-intolleranze usate per dimagrire che oggi imperversano ovunque. Cosa succede in genere: la donna che ha qualche chilo di troppo, spesso sostenuta dall’amica di turno, si convince di essere intollerante a qualche alimento. Si sottopone allora a uno dei tanti test non convenzionali. E guarda caso risulta sempre positiva a una o più sostanze. Altra cosa strana, gli alimenti incriminati sono sempre i più calorici: pane, pasta, latticini…, è ovvio che eliminandoli, si dimagrisce”.

Allora come mai cosi tante persone “ci cascano”?

“Perché queste terapie fanno leva soprattutto sull’aspetto psicologico, semplificando il problema. L’aspetto psicologico è ancora più importante in caso di sovrappeso. Spesso a “cascarci” sono persone che hanno provato di tutto per dimagrire senza successo e a cui, fa piacere sentire che i chili di troppo non sono colpa loro ma di alimenti che non tollerano”.

Le medicine cosiddette alternative hanno riscosso grande successo negli ultimi anni perché cercano di dare un rime-dio a malesseri molto sentiti nella nostra società. È un segno che la medicina ufficiale non sa più parlare alla gente?

“È così. Questa, è una delle ragioni del successo delle terapie non convenzionali, che hanno sicuramente un approccio più “gentile” rispetto alla medicina ufficiale”.

Cosa risponde allora a chi sostiene che ci sono autorevoli studi scientifici che mettono in correlazione grasso e intolleranza?

“Rispondo molto semplicemente che a me non risulta. L’autorevolezza di uno studio scientifico è data innanzitutto dalla pubblicazione su una rivista qualificata di fama internazionale (Scienze, Nature) e dal giudizio di scienziati che prima della pubblicazione ne giudicano l’accettabilità. Gli stessi dati devono essere riprovati e confermati da altri studiosi. Non mi pare che sia il caso di questi test. Inoltre chi è intollerante a determinati alimenti tende a dimagrire, non certo a ingrassare. Se io dopo aver bevuto il latte, sto male, tenderò a ridurre o addirittura a eliminare quest’alimento. Non crede?”

Come mai allora seguendo le diete anti-intolleranze si dimagrisce?

“Come dicevo prima si può perdere qualche chilo perché vengono eliminati gli alimenti sotto accusa, spesso i più calorici. Attenzione però, perché si tratta di un dimagrimento temporaneo. Quasi sempre terminata la dieta, si riacquista tutto il peso perso. L’unico metodo valido per dimagrire è agire sullo stile di vita, modificandolo. Ovvero imparare a mangiare in maniera intelligente e a muoversi il più possibile. Non ci sono altre soluzioni miracolose”.

Quali sono i rischi per la salute, tagliando gli alimenti sospetti?

Il primo rischio è adottare una dieta sbilanciata, monotona e priva dei principali nutrienti essenziali. Il secondo è trascurare o sottovalutare altri disturbi che magari non hanno nulla a che vedere con il cibo. Il tutto a un costo che può arrivare anche a 200-300 euro. Non male!”.

L’industria alimentare da anni ormai continua a immettere nel mercato nuove soluzioni per soddisfare il nuovo gusto: additivi, conservanti, coloranti. La scienza dell’alimentazione ufficiale quali strumenti adotta per scongiurare i rischi di queste sostanze?

“Qualsiasi sostanza prima di essere messa in commercio deve essere sottoposta a una serie di sperimentazioni tossicologiche eseguite in varie parti del mondo e valutate da un’autorità sanitaria internazionale super partes. Sarà questa a stabilire la quantità massima giornaliera di questa sostanza, riportando l’indicazione in etichetta”.

Fonte: Silhouette Donna

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