Esistono test “bufala” per le allergie: sono i più diffusi, venduti (eseguiti) anche in farmacia
Chinon ha mai pensato di aver qualche problema di intolleranza o allergia con un cibo particolare alzi la mano. La sensazione di essere poco in sintonia con un ingrediente alimentare o una categoria di prodotti sta diventando una “moda”. È quasi un modo per trovare una soluzione a un disturbo generico, all’aumento di peso (correlato all’allergia non si sa bene come), insomma un sistema per dare una risposta anche rapida a un problema di salute. Basta eliminare dalla dieta la categoria alimentare incriminata e si inizia a stare meglio. A favorire questo atteggiamento, sugli scaffali dei supermercati si trova ormai un ricco assortimento di prodotti “senza lattosio”, “senza glutine”, “senza grassi”, “senza zuccheri”. Anche in farmacia e in rete sono sempre più numerosi presunti test in grado di stabilire rapidamente e con precisione la presenza di un’allergia o un’intolleranza alimentare. La maggior parte di questi test non ha validità scientifica, ma si confondono con quelli scientificamente utilizzati dagli specialisti in allergologia, anche perché in alcuni casi sono collegati a analisi del sangue o altri tipi di strumentazione sofisticate che traggono in inganno.
«La maggior parte delle persone non distingue un’allergia da un’intolleranza e questa differenza spesso è poco chiara anche al personale sanitario – commenta Marina Russello, specialista in allergologia -. Un’allergia si manifesta anche quando minime quantità di un alimento scatenano reazioni di gravità variabile, da reazioni esclusivamente oro labiali fino a reazioni generalizzate molto gravi, in (pochi) casi estremi anche anafilassi con esito mortale. È una reazione causata da un’attività anomala del sistema immunitario mediata spesso dalla produzione di anticorpi IgE. Gli allergeni più spesso responsabili sono: pesca, crostacei, arachidi, frutta a guscio nella popolazione adulta e uova, pesce, latte e derivati nella prima infanzia. L’intolleranza vera a un alimento non innesca una risposta del sistema immunitario perché è dovuta al difetto di un enzima presente nel nostro organismo, oppure è legata a molteplici altri fattori o ad alcune caratteristiche dell’alimento stesso». Per esempio l’intolleranza al lattosio, è dovuta alla scarsa presenza nell’organismo dell’enzima che lo degrada e il latte indigerito causa gonfiore, dolore addominale o coliche. Spesso una cattiva alimentazione, il reflusso, la gastrite danno origine a un insieme di sintomi che vengono poi attribuiti erroneamente a intolleranze inesistenti. C’è anche il caso di pazienti che possono avere una ipersensibilità al glutine non celiaca (avviene nei casi in cui un individuo ha tutti i sintomi della malattia celiaca, ma non ha la celiachia).
Per fare un po’ di ordine, la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) lo scorso ottobre ha pubblicato un documento (scritto in collaborazione con le principali associazioni di medici allergologi, come SIAIP, AAITO e SIAAIC) per illustrare i percorsi diagnostici utilizzati dall’allergologo, elencando i sistemi inefficaci, che potremmo definire vere e proprie “bufale”. «La percezione di allergia alimentare nella popolazione è di circa il 20% mentre l’incidenza reale del fenomeno interessa il 4,5% delle persone adulte e fino al 10% circa della popolazione pediatrica». Innanzitutto è importante chiarire la differenza tra allergia e intolleranza, visto che spesso quest’ultima viene citata a sproposito. Entrambe rientrano tra le reazioni avverse da alimenti, ossia «ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento».
Secondo il documento FNOMCeO i test senza alcuna validità scientifica sono molteplici. L’elenco comincia con il test di provocazione-neutralizzazione intradermico e sublinguale; i test elettrodermici come Vega test, Sarm test, Biostrenght test; i test kinesiologici, la biorisonanza, l’iridologia, l’analisi del capello, il pulse test, lo strenght test, il riflesso cardio auricolare, il test citotossico e il dosaggio di IgG4. Per comprendere meglio come mai e in che modo si diffondono questi test abbiamo rivolto alcune domande a Marina Russello, specialista in Allergologia e immunologia clinica dell’Ospedale Sant’Anna di Como: «I Test alternativi sono numerosissimi e ogni giorno ne compaiono di nuovi. Basta guardare su internet. I più famosi sono però cinque, i primi dal punto di vista storico: biorisonanza, vega test, dria test, il test sul capello e la citotossicità sul sangue». In molti casi il paziente arriva ad autodiagnosticarsi un’allergia o intolleranza non attraverso percorsi corretti, ma con il passaparola o informazioni trovate in Internet: «le persone con alcuni sintomi gastrointestinali spesso pensano che i loro problemi siano collegati a intolleranze e sperano di poterli risolvere modificando l’alimentazione». Avere accesso a questi test è abbastanza facile: si trovano in farmacia o ci si può rivolgere ai laboratori privati.
I motivi per cui la gente ricorre a questi esami non sono di tipo economico, ma probabilmente sono dovuti alla semplicità della procedura che non comporta attese ed è svicolata dalle altre incombenze di una visita specialistica. «Il costo dei testi reperibili in farmacia – spiega Russello – varia dai 70 euro per quello sui capelli ai 250/300 per la biorisonanza e il vega test. L’interpretazione dei risultati viene eseguita direttamente dal laboratorio che si occupa anche dell’analisi, dal farmacista o dal medico/biologo o omeopata. Il paziente spesso non viene visitato per cui nessuno è a conoscenza della sua storia clinica. La procedura diagnostica corretta da seguire fornita dal nostro SSN in ambito Ospedaliero, costa al massimo 200-250 euro, e prevede come primo passo la visita dallo specialista, e solo dopo l’esecuzione dei test cutanei ed eventuali esami immunologici che si rendono necessari». L’allergologo, oltre a valutare la storia del paziente, in genere procede con un test semplice e veloce. «Si chiama Prick Test, dura 15 minuti e inizia a dare un’idea sull’eventuale presenza di allergie gravi. Questo test prevede l’applicazione dei vari allergeni sull’avambraccio, che vengono fatti penetrare nella cute attraverso piccolissime punture per verificare reazioni allergiche di tipo “immediato». In caso di positività si può affinare la ricerca attraverso test “mirati “sul sangue o addirittura con scatenamento orale con l’alimento sospetto. Quest’ultimo esame viene eseguito soprattutto sui bambini per capire se un alimento può essere assunto o no». È lecito quindi ipotizzare che la scarsa di conoscenza dell’argomento da parte delle persone abbinata alle spinte commerciali delle aziende produttrici dei test a rendere molto popolari esami inattendibili dal punto di vista scientifico.
I test alternativi possono essere pericolosi? «In modo indiretto: non hanno rischi durante l’esecuzione, ma di sicuro impediscono a un paziente di scoprire il vero problema. Non diagnosticare allergie alimentari è grave perché in alcuni casi potrebbe mettere a rischio la vita dell’individuo. In altre situazioni si potrebbe correre il rischio di un ritardo diagnostico o di scambiare patologie gravi come presunte intolleranze. Sulla base di una diagnosi errata si può creare inoltre dipendenza da regimi alimentari che escludano alcuni cibi senza alcun motivo valido, con limitazioni di tipo psicologico e nella vita sociale. C’è poi il grave rischio di malnutrizione quando test inaffidabili sono eseguiti in età pediatrica ed evolutiva. C’è un ultimo elemento da considerare – mette in guardia Russello – questi test sono poco attendibili anche perché non sono riproducibili: significa che se ripetuti possono dare risultati differenti anche nello stesso soggetto».
Elenco dei test che l’Ordine dei medici considera privi di validità scientifica
Test di provocazione-neutralizzazione intradermico: l’allergene viene somministrato per via intradermica, si attendono 10-12 minuti per valutare la comparsa di sintomi. I sintomi riprodotti non sono specifici né per gravità o tipologia.
Test kinesiologico: il paziente afferra con la mano la bottiglia di vetro che contiene l’alimento da testare, mentre con l’altra mano spinge contro quella dell’esaminatore. La presunta perdita di forza nell’opporre resistenza viene vista come segnale della presenza di un’allergia nei confronti del contenuto della bottiglia. La versione moderna di questo test si chiama Dria: la forza viene misurata a livello di quadricipite, legando alla caviglia del paziente una cinghia collegata al peso da sollevare e al pc.
Vega Test: si basa sull’applicazione di corrente elettrica in punti specifici del corpo che corrispondono ai punti dell’agopuntura nella medicina cinese. L’apparecchio ha due elettrodi: uno applicato sulla cute, l’altro alla macchinetta.
Biorisonanza: si basa sulla convinzione che il corpo emetta onde elettromagnetiche “buone” o “cattive”, misurabili con un determinato strumento che poi le rimanderebbe al paziente in versione “purificata”.
Il Test del capello trova l’unica applicazione scientifica nella ricerca di eventuali droghe
Test citotossico: al sangue o alle sospensioni di globuli bianchi viene aggiunto uno specificio allergene che – in caso di allergia – dovrebbe modificare le cellule, fino alla loro lisi. Il metodo non ha mai trovato validazione scientifica e non è riconosciuto dalle Società Scientifiche di Allergologia nazionali e internazionali.