Intolleranze alimentari: Indagine di Altroconsumo
Gli effetti di un’errata diagnosi: si eliminano inutilmente alimenti importanti per una dieta sana e variata.
Sono proposti in molte farmacie, erboristerie e laboratori privati come metodi in grado di diagnosticare ipersensibilità agli alimenti. Ci siamo sottoposti ai più diffusi. Si risulta sempre intolleranti a qualcosa. Quel che è peggio, danno risultati ogni volta diversi e in contrasto tra di loro. Non hanno alcuna affidabilità.
Cibo: croce e delizia della nostra salute. Da qualunque parte lo si guardi, è sempre un ospite ingombrante. Ci piace immaginarlo come un prezioso alleato al quale spalancare le porte di casa o meglio della nostra dieta (diaita in greco significa anche «dimora», «residenza», oltre che «stile di vita»).
Ma al tempo stesso lo consideriamo un subdolo nemico da cui guardarsi e da tenere in certi casi a distanza. Toccasana o veleni: osanniamo certi alimenti, ne condanniamo altri. Il nostro rapporto con l’alimentazione si è fatto estremo, soffriamo di uno strano disturbo bipolare che ci ha resi cibo-maniacali.
Gonfiore di stomaco? Mal di testa? Prurito? Insonnia? Difficoltà a dimagrire?
Un tempo di fronte a uno o più sintomi del genere si sarebbe ipotizzato un ampio spettro di possibili cause. Un consulto medico ci avrebbe illuminato oppure una sana dormita avrebbe spento ogni ansia (e con essa probabilmente anche i fastidi).
Oggi, nell’era dell’autodiagnosi (magari previa ricerca su Google), l’indiziato numero uno è sempre lui, il cibo. «Forse soffro di intolleranza a qualche alimento o di un’allergia alimentare». È il primo pensiero che viene alla mente. E si è in numerosa (e ipocondriaca) compagnia, perché quello di attribuire i propri sintomi di malessere a intolleranze o allergie alimentari è un esercizio praticato da una persona su quattro.
Mentre le stime dicono che gli alimenti causano davvero problemi in percentuali decisamente minori (3-5%).
Tentati dalla pubblicità
Ma anche di fronte alla consapevolezza di una probabilità così bassa o addirittura in mancanza di sintomi, può diventare forte la tentazione di sottoporsi a quello che si presenta come un innocuo “test per le intolleranze alimentari”, senza neppure passare dal medico. Tentazione che diventa irresistibile se davanti a una farmacia si legge il cartello pubblicitario:
«Intolleranza alimentare? Anche senza saperlo potresti avere una o più intolleranze alimentari. Infatti alcuni cibi possono provocare: mal di testa, dolori allo stomaco, appesantimento nella digestione, depressione, alternanza di peso, eruzione cutanea, alitosi, palpitazioni cardiache…
Per maggiori informazioni o per prenotare l’esame: chiedi qui al tuo farmacista».
Entrare.
Informarsi sul prezzo. Farsi convincere a fare qualcosa di cui in realtà si è già sufficientemente persuasi. Fissare un appuntamento. Fidarsi della farmacia, che ancora consideriamo, checché se ne dica, un presidio sanitario. Sono tutte cose che in quel momento sembra molto saggio mettere in pratica. «Così mi tolgo il pensiero» ci si dice, forse ignorando che non ci si dovrebbe mai sottoporre a un esame diagnostico per mera curiosità.
Perché quasi sicuramente quel dubbio si trasformerà in una certezza. E, quel che è peggio, sarà una certezza tutt’altro che fondata. E vengono in mente le parole dello scrittore satirico Karl Kraus – «una delle malattie più diffuse è la diagnosi» – con le quali ironizzava sugli errori a cui la medicina, la meno esatta tra le scienze, va spesso incontro. Nel nostro caso non si tratta nemmeno di medicina “ufficiale”. Infatti stiamo parlando di “test alternativi” non validati dalla comunità scientifica e sul cui valore diagnostico l’Istituto Superiore di Sanità è stato molto chiaro, bollandoli così: «Sono privi di attendibilità scientifica e non hanno dimostrato efficacia clinica».
Sconfessati dalla scienza
A mettere in guardia da questi test è anche la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic). In un documento disponibile online, cita a titolo di esempio il Vega Test, il Cytotoxic test, il dosaggio delle IgG4 sieriche, l’analisi del capello e le tecniche di biorisonanza. E avverte: «Nessuna di queste metodiche ha dimostrazioni scientifiche di efficacia e ripetibilità nel diagnosticare disturbi legati all’alimentazione». Il motivo per cui sono da evitare è che «fornendo risultati inattendibili e non clinicamente correlabili alle problematiche riportate dai pazienti, pongono i pazienti a rischio di inappropriate diete potenzialmente dannose per la salute». Tradotto in parole più semplici: poiché questi test non danno risultati affidabili e tendono a diagnosticare false intolleranze, le persone finiscono per eliminare senza motivo dalla loro dieta alimenti che non avrebbero alcun bisogno di eliminare, impoverendo la propria alimentazione, con il rischio di squilibri e danni alla salute. Inoltre, aggiungiamo noi, questi test si risolvono in uno spreco di soldi e in una fonte d’ inutile stress.
Un paio di raccomandazioni
A questo punto avremmo potuto già concludere questo articolo, aggiungendo soltanto due raccomandazioni finali. La prima: se non è ancora chiaro, state alla larga dai test per le intolleranze alimentari proposti non solo dalle farmacie, ma anche da parafarmacie, erboristerie e laboratori privati. La seconda: in caso di disturbi che potrebbero far pensare a un’intolleranza alimentare, tipicamente quelli gastrointestinali, non avventuratevi in pratiche di automedicazione, rivolgetevi al vostro medico di base; sarà lui a valutare se è il caso di approfondire, indirizzandovi da un allergologo o da un altro specialista. Noi, invece di fermarci ai consigli, abbiamo preferito andare fino in fondo, con un’inchiesta sul campo.
Siamo andati a sottoporci a questi test, sia per verificare quali esiti danno, sia per poter rispondere con fatti documentati a quanti altrimenti ci avrebbero accusato di denigrare a priori i metodi alternativi, promossi dalle (sempre più popolari) medicine non convenzionali. Affinché gli esiti degli esami fossero tra loro confrontabili, era necessario far fare gli esami sempre alla stessa persona. La scelta è caduta su Chiara, una giovane donna di 25 anni residente a Roma. Chiara accusava realmente sintomi riconducibili a intolleranze alimentari, però non si era mai sottoposta a esami per accertarlo. Il primo passo è stato quindi accompagnare Chiara in una struttura ospedaliera a fare una visita allergologica. Lo specialista ha prima valutato la storia clinica della paziente e, sospettando un’intolleranza al lattosio, l’ha sottoposta a due test diagnostici validati scientificamente: il prick test e il breath test. Il primo è un test cutaneo, durante il quale un estratto dell’alimento sospetto viene posto a contatto con la pelle per vedere quale reazione dà. Il secondo, il test del respiro (in inglese breath), consiste nel far ingerire una dose di lattosio e analizzare mediante un sensore alcuni gas (idrogeno e/o metano) nell’aria espirata: un loro aumento indica che il lattosio non è regolarmente digerito. L’esito degli esami è stato chiaro: la nostra collaboratrice è risultata realmente intollerante al lattosio.
Forti di questa diagnosi, che ha escluso altre forme di allergie alimentari, Chiara ha cominciato a passare in rassegna la nostra lista con quattordici indirizzi di farmacie, erboristerie e laboratori privati di Roma, scelti in modo del tutto casuale, che offrono la possibilità di fare test per le intolleranze alimentari.
Se i risultati sono un rompicapo
Siamo partiti da un esame molto noto, eseguito non da farmacie ma da laboratori privati, il Cytotest. Si tratta di un test che propone di diagnosticare l’intolleranza alimentare osservando le alterazioni dei globuli bianchi a contatto con l’allergene. Per questo serve un piccolo prelievo di sangue. Per poter valutare meglio l’attendibilità dei risultati, Chiara ha eseguito il test due volte, in modo da avere in mano due esiti da confrontare. Lo ha fatto in strutture diverse, per evitare di essere riconosciuta.
A Chiara è stato chiesto di sborsare per il primo test la bellezza di 240 euro, mentre il secondo laboratorio le ha chiesto 150 euro. In entrambi i casi ha dovuto fornire un indirizzo e-mail al quale le sarebbero stati mandati i risultati, che in effetti sono arrivati dopo una decina di giorni. Perché via e-mail? Forse per evitare che i pazienti chiedano di essere illuminati sull’esito degli esami, la cui decifrazione è un vero rompicapo anche per un esperto. Né si può fare affidamento su un commento finale: semplicemente non c’è, il campo è lasciato libero all’interpretazione del paziente. Ciò che si riesce a cogliere, dopo attenta disamina, è che Chiara nel primo caso è risultata positiva (ma senza indicazione del grado di positività) a sette alimenti, mentre nel secondo le intolleranze diventano quattro. Solo la positività al pomodoro è comune ai due documenti, tutte le altre differiscono. Eppure stiamo parlando dello stesso esame, eseguito due volte. Hanno almeno trovato l’intolleranza giusta, quella al lattosio? Macché, non è riuscito nessuno dei due test. Nel primo figurano la lattoalbumina e la caseina, cioè proteine del latte, mentre il lattosio è uno zucchero. Poiché nel primo test è risultata un’intolleranza all’uovo e nell’altro alle proteine del latte, le diete prescritte sono profondamente diverse ed escludono entrambe un importante apporto di proteine e minerali.
Gli anticorpi sbagliati
Siamo poi andati in due farmacie per provare un esame chiamato Finder. Prevede un piccolo prelievo di sangue da un dito con tampone, che nel nostro caso è stato effettuato direttamente dal farmacista (costo: nella prima farmacia 215 euro, nella seconda 175). Il test si basa sulla ricerca nel campione di sangue degli anticorpi IgG contro cibi sospetti (una lista di 184 sostanze). Chiara ha ricevuto i risultati dei due esami cui si era sottoposta direttamente dal farmacista, senza alcun commento. Ancora una volta stessa paziente, medesimo esame ripetuto, esiti discordanti. Uno rileva intolleranza alla mandorla e al formaggio fuso, l’altro al grano e al farro. Entrambi concordano su mandorla, latte di mucca e di pecora. Ciò implica, stando ai consigli dietetici riportati nel referto, l’esclusione totale di latte e latticini, cosa che comporterebbe il rischio di carenze di calcio e vitamina D. Se gli esami avessero diagnosticato il vero problema, l’intolleranza al lattosio, non ci sarebbe stata una preclusione così netta, anzi si sarebbe potuto avere libero accesso al consumo di alcuni prodotti caseari e di tutti quelli delattosati. Anche un altro test, Natrix FIT, si basa sugli stessi principi di Finder, cioè sul fatto che la presenza degli anticorpi IgG specifici nel sangue sarebbe un segnale di allergia o intolleranza alimentare. Le intolleranze individuate da questo salatissimo test (costo: 230 nel primo caso e 250 euro nel secondo, su 184 alimenti), vanno da un minimo di cinque a un massimo di nove, e concordano soltanto per l’uovo e il latte vaccino.
Viaggio nei campi bioenergetici
E ora veniamo ai test più controversi della nostra inchiesta: Creavu Test, Vega Test e Elettroagopuntura di Voll. Poiché si basano tutti sugli stessi principi di bioenergetica, li analizziamo insieme. Sono eseguiti mettendo un apposito macchinario a forma di penna sull’indice (nel punto che in agopuntura corrisponde all’intestino) del paziente. A ciascuno di questi test Chiara si è sottoposta due volte, in diverse farmacie e in un’erboristeria. I costi sono più contenuti: vanno da 20 euro (offerta su Groupon) a 45 euro. La variabilità dei risultati però è elevatissima, fatto che ne conferma l’assoluta inattendibilità. Il caso più assurdo è quello
del test eseguito in erboristeria, dove sono risultate ben 48 incompatibilità su 108 alimenti provati. Ci potrebbe essere stato un errore nell’esecuzione del test — e anche questo la dice lunga —, perché l’esito paradossalmente riporta riferimenti agli anticorpi IgA, senza che ci sia stato un prelievo di sangue: da dove arriverebbero? Confrontando l’esito degli altri cinque test, solo sull’intolleranza al cacao c’è una certa coincidenza (tre test su cinque). Nessuno di loro individua però il vero problema della paziente: l’intolleranza al lattosio. E poi sbuca una categoria inedita: la pre-intolleranza. Cos’è e in quali consigli dietetici si traduce? Poiché nei referti mancano pure i consigli nutrizionali, non è dato saperlo.
Esami da farmacista
D’accordo, il farmacista non è un medico. Però resta un operatore sanitario, che deve agire in scienza e coscienza. Poiché ha il dovere di «adeguare costantemente le proprie conoscenze al progresso scientifico» (art. 9 del codice deontologico) dovrebbe sapere che i test sulle intolleranze alimentari, che pubblicizza, vende ed esegue (il prelievo lo fa lui) sono privi di attendibilità scientifica.
Allora perché molti si prestano al gioco?
«Nell’attività di vendita di prodotti diversi dai medicinali, il farmacista ha l’obbligo di agire in conformità con il ruolo sanitario svolto, nell’interesse della salute del cittadino» (art. 35). Chi vende test del tutto inaffidabili tradisce questi princìpi. Anche il suo comportamento al momento di fare il test fa dubitare della sua correttezza professionale: in molti casi nemmeno una domanda generica su cosa ci avesse spinto a sottoporci al test. Soprattutto, mai domande mirate sui disturbi che accusavamo né sulla nostra storia clinica. Alla consegna dei referti poi fa il semplice passacarte. Nessun commento né spiegazione dei risultati. E nemmeno l’invito a rivolgerci a un medico. Si parla tanto dell’evoluzione del farmacista da dispensatore di farmaci a erogatore di prestazioni professionali, a vantaggio dei cittadini. Se questi sono i presupposti, non c’è da sperare nulla di buono.
Sottoporsi a uno di questi esami fasulli costa da 20 a 250 euro
Sei test “intollerabili”
Cytotest
Si basa sul principio secondo cui l’aggiunta di uno specifico allergene al campione di sangue prelevato al paziente causi alterazioni (citotossicità) di vario grado nei globuli bianchi. È un test inaffidabile perché ha una scarsa riproducibilità.
Finder e Natrix FIT
Consistono nel ricercare nel sangue gli anticorpi IgG e IgG4 verso una lunga serie di alimenti, perché sarebbero un segnale di intolleranza. Da tempo, però, è stato acclarato che la presenza di questi anticorpi è dovuta in realtà solo a una risposta normale e fisiologica del nostro corpo verso elementi estranei.
Creavu Test, Vega Test, Elettroagopuntura di Voll
Si ispirano al principio bioenergetico secondo cui il nostro corpo subirebbe variazioni energetiche quando entra in contatto con sostanze estranee.
Con un apparecchio si misurano in particolare le variazioni micro-elettriche della pelle, a livello dei punti dell’agopuntura (sul dito indice, che corrisponderebbe all’intestino), quando questo viene a contatto con un alimento sospetto.
I test per le intolleranze
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Risultati fasulli
Stesso esame, esiti diversi.
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Esiti assurdi
Con alcuni test vengono diagnosticate numerose incompatibilità.
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Salute a rischio
Eliminare dalla dieta i numerosi alimenti a cui si risulta (falsamente) intolle-
ranti con i vari test, metterebbe a rischio la salute.
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Spesa inutile
Questi esami farlocchi sono spesso molto costosi: si arriva a sborsare fino a 250 euro.
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Consigli sbagliati
In certi casi viene consigliato di eliminare completamente gli alimenti non
tollerati: un consiglio sbagliato perché troppo drastico. In altri casi nessun
consiglio. Difficile decidere quale dei due comportamenti sia peggio.
Fonte: Test Salute Altronsumo
